Circostanze familiari ed eventi critici di vita si configurano come eventi di perdita. Perdite e abbandoni sono criticità esperienziali particolarmente connesse all’attaccamento (Bowlby, 1982) e possono quindi spiegarne la continuità o discontinuità.
Anche l’evento malattia si configura come una perdita, un lutto, e in quanto tale avrà un impatto sulle dinamiche di attaccamento proprie del sistema famiglia, all’interno del quale il malato è inserito.
Le dinamiche che si manifestano tra il malato e i famigliari possono variare in base alla fase di vita che la famiglia si trova ad attraversare al momento della diagnosi, ma anche in relazione al tipo di comunicazione, al tipo di rapporti, alle esperienze precedenti di malattia e ai diversi stili di funzionamento presenti prima della diagnosi (Walsh, 1993).
Le reazioni dei componenti della famiglia possono essere diverse in base a chi sia il familiare malato e a quanto la prognosi sia infausta. I sentimenti più frequenti che una diagnosi di cancro può evocare sono rabbia, delusione, paura (Cianfarini, 2007), un turbinio di emozioni che spesso fa sentire inadeguati, impotenti.
Specialmente se ad ammalarsi è il capofamiglia e l’evento malattia mette in condizione di doverlo sostituire in questo ruolo, capita di sperimentare rabbia nei suoi confronti. Questa rabbia entra in conflitto con i sentimenti precedenti la diagnosi e può indurre nel familiare un senso di colpa che può declinarsi nella negazione di queste emozioni, vissute come inopportune.
È fondamentale che i familiari riescano a capire che sentimenti come rabbia e delusione sono una reazione naturale a quanto sta loro capitando e che riescano quindi ad accettarli, a “permetterseli”.
Quando un componente si ammala tutta la famiglia viene colpita ed esposta a diverse fonti di stress, in risposta alle quali ciascun membro reagirà diversamente nel tentativo di adeguarsi al cambiamento e di trovare un proprio equilibrio nello stravolgimento dell’equilibrio.
È l’intero sistema famiglia quindi a doversi riequilibrare, ma a volte creare una nuova immagine, ridefinire ruoli e funzioni, è particolarmente difficile e può essere necessario quindi un sostegno che favorisca l’espressione di sentimenti ed emozioni e accompagni la famiglia in questa ridefinizione.
Prendiamo il caso in cui sia un genitore ad ammalarsi, una delle reazioni più spesso riscontrate nei genitori malati è il congelamento emotivo, una barriera difensiva che viene posta tra sé e l’ambiente e che determina un distacco e un allontanamento emotivo al fine di proteggere se stessi e gli altri dal dolore di un’eventuale perdita (Cianfarini, 2010).
Correlato alla difesa dal dolore di un’eventuale perdita può emergere il tentativo di rendere autonomi figli molto piccoli, con la fantasia che possano imparare a cavarsela da soli. Allo stesso tempo può capitare che il genitore adotti, in ragione della stessa difesa dall’angoscia di perdita, un distacco corporeo dai figli, limitando quindi l’espressione fisica dell’affettività.
È evidente come tutto questo possa innescare un’enormità di emozioni e pensieri tanto nel malato quanto nei figli, che si trovano ad integrare l’attuale immagine e rapporto con la figura genitoriale con quelli antecedenti l’evento malattia.
Tutto ciò lascia intuire l’importanza di un sostegno psicologico, al singolo e alla coppia genitoriale, che si ponga come obbiettivo generale quello di aiutare i genitori a superare la crisi scongiurando condotte disfunzionali nei confronti delle relazioni significative (Cianfarini, 2010).
All’interno di uno spazio di sostegno psicologico le emozioni si possono nominare e i pensieri esplicitare, arrivando a favorire la comunicazione all’interno della famiglia e il conseguente riavvicinamento reciproco.
Lo spazio della terapia è quello in cui si può tollerare ed integrare la sofferenza psicologica, depotenziando fantasie e ansie legate alla malattia così da accompagnare la persona nel superamento della condizione di passività in cui si trova costretta.
Il superamento della condizione di passività consente di assumere un ruolo attivo e passa per il rinforzare le risorse di cui ciascuno ancora dispone, nonostante tutto.
Dott.ssa Caterina Bianconi – Psicologa